La forza motrice dell’orologio

Anche l’ orologio come qualsiasi apparato meccanico in grado di svolgere un lavoro, necessita di una forza motrice che lo alimenti e mantenga costante il suo rendimento, questo si rende necessario poiché non trovandoci nel vuoto ma soggetti alla forza di gravità e ad una serie di attriti di varia natura si creano delle resistenze da eliminare per ottimizzarne il funzionamento.

Con l’ apparire dei primi orologi meccanici, siamo all’ incirca nel 1300, la soluzione al problema di trovare un energia in grado di muovere i relativi ingranaggi che componevano queste macchine venne risolto brillantemente con l’utilizzo di grosse pietre che sospese a dei cavi, opportunamente realizzati mettevano in funzione non solo la parte  preposta alla misura del tempo ma anche quella riguardante la suoneria.

Come tutti i componenti del segnatempo, anche la scelta del peso e ovviamente la lunghezza della fune a cui era agganciato derivavano da calcoli ben precisi.

L’ energia da erogare è in relazione con l’amplitudine che il sistema regolatore (pendolo o bilanciere) deve ottenere, tenendo presente che tanto sarà maggiore l’ ampiezza da raggiungere e più gli impulsi dovranno essere intensi.

Và considerato inoltre che una parte della forza si disperde nel contrastare l’attrito tra i perni delle ruote e le loro sedi, nell’ ingranamento tra ruote e pignoni e dall’inerzia raggiunta dai componenti in moto.

Nel concetto di forza motrice non dobbiamo prendere in considerazione solamente il peso della pietra (massa) visto che la sua azione non è diretta sull’asse di rotazione. La corda che lo sostiene  infatti si arrotola su di un cilindro (Tamburo), alla cui estremità si trova la dentatura che dà inizio alla trasmissione di moto, il raggio del tamburo và considerato come una leva per cui l’ effetto del peso non dipende solo dalla sua intensità ma anche dalla lunghezza del braccio.

Applicando la formula per calcolare il ”Momento” necessario per imprimere la forza di rotazione avremo  M =  R x P,  da cui  Momento = Raggio x Peso.

A questo calcolo però bisogna aggiungere il peso della corda oppure, con influenza ancora maggiore quello della catena, che ovviamente aumenta con lo srotolarsi.

Il passaggio tra il sistema a peso discendente e quello con molla avviene progressivamente e non se ne ha una datazione certa, si trovano tracce già verso la fine del 1400, ma è probabile  che contestualmente allo stesso periodo diversi artigiani siano giunti allo stesso risultato.

Bartolomeo Manfredi di Mantova, a testimonianza del genio Italico, nel 1462 armò i propri meccanismi di un cilindro esternamente dentato con una molla al suo interno.

Spesso il costruttore in grado di produrre molle era un fabbro che aveva acquisito una buona conoscenza dell‘ acciaio attraverso l’ esperienza e la sperimentazione, come ad esempio Peter Henlein di Norinberga, dove una statua lo ritrae intento ad osservare una sua creazione,  il quale  come fabbro/orologiaio produsse verso la metà del 1500 diversi piccoli orologi trasportabili, con alimentazione a molla.

L’effetto del modificare il sistema di forza motrice abinato alla sostituzione del pendolo con il bilanciere  consente finalmente di costruite orologi dalle dimensioni minori e trasportabili, facilitando così lo sviluppo di questo strumento nella vita quotidiana di ognuno.

Ovviamente le prime molle costruite non garantivano sempre una corretta alimentazione dell’ orologio ed anche la durata strutturale non era certo ai massimi livelli. Per ovviare al problema gli orologiai dell’ epoca misero a punto dei sistemi molto ingegnosi, ad esempio quello della “Fusèe” conosciuto anche come Conoide o quello della Croce di Malta, argomenti che svilupperemo più dettagliatamente in articoli futuri.

 Dopo questa breve ma doverosa introduzione storica vediamo ora dove questa evoluzione ci ha condotto. Per riuscire a comprendere al meglio il funzionamento dell’ orologio divideremo lo stesso in due lati di osservazione ben precisi. La base su cui  tutto si  sviluppa prende il nome di Platina ed è il supporto principale dove vengono ricavati tutti gli alloggiamenti per i vari componenti. Il lato del quadrante che chiameremo “A” ed il lato bilanciere (dove chiaramente è ben visibile) lo denomineremo  “B”. L’orologio di base (solo tempo) si compone  di 4 parti ben definite:     Lato “A”   dove troveremo l’organo di carica e rimessa dell’ ora.

             Lato “B”  che accoglie l’ organo motore, il treno delle ruote e lo scappamento.  

 Le meccaniche di entrambi i lati ovviamente  interagiscono tra loro fornendoci i secondi, i minuti e le ore.

L’ Organo motore

Vedremo adesso nel dettaglio i componenti ed il funzionamento di questo sistema posizionato nella parte “B”.

Elementi :

  • Bariletto (Albero di rotazione, Molla, Coperchio)
  • Rocchetto di carica
  • Ruota a corona
  • Cricco d’arresto                                                                                                                                                                  

Il Bariletto è posto in un apposito alloggiamento ricavato nella platina e tenuto in sede da un ponticello dedicato che lo trattiene (ponte del bariletto).  Nella superficie a vista del ponte vengono montati in sequenza, tramite l’ausilio di viti, il Rocchetto di carica, ben riconoscibile per le sue notevoli dimensioni e per il foro a sezione quadrata, la Ruota a Corona, la cui vite di fermo nel 90% degli orologi ha sviluppo sinistro ed interposto tra il tenone filettato (in ottone) e la ruota stessa (in acciaio) si trova un anello anche esso del medesimo materiale per eliminare la forte usura provocata dall’ attrito nel momento di carica.  In fine di regola troviamo il sistema di Arpionismo ovvero l’ insieme di un cricchetto (Nottolino), di forma variabile, il quale spinto da una molletta lo tiene costantemente aderente ai denti del Rocchetto di carica, permettendo la rotazione di armamento della molla ma non il suo retrocedere. Questa spinta però deve essere estremamente delicata in quanto la forza di resistenza del cricco và aggiunta a quella necessaria per caricare la molla. Inoltre se la tensione del nottolino sul rocchetto di carica risulta eccessiva la sua spinta si somma a quella della molla e si rischia la sovratensione della stessa. Questo può causare sia la rottura della lamina che il ribattimento nello scappamento.

All’ interno del Bariletto nella parte centrale è presente un foro dove si trova la sede dell’ Albero di rotazione della molla, tale asse viene anche denominato Nocciolo. La sua dimensione deve rispondere a delle caratteristiche ben precise in quanto darà inizio alla piegatura della molla durante la fase di caricamento, punto decisamente critico, spesso infatti si individuerà la frattura della stessa proprio in questa regione. ”Il diametro dell’asse determinerà il raggio di curvatura della molla”.  A metà sezione del nocciolo si ricava un dente al quale si aggancerà la molla tramite una apposita asola sagomata. Tale zona (il centro della molla) prende il nome di “Coquillon” , termine Francese intradotto e tuttora in uso. Un dente troppo pronunciato può causare la deformazione e la conseguente rottura del sistema. Il Nocciolo, salvo rari casi particolari, si presenta con una delle due estremità di rotazione con forma quadrata, questa sporge di alcuni decimi millimetro dal ponticello che assicura il bariletto alla platina e si alloggia perfettamente nella sede, anche essa quadrata, del Rocchetto di carica. Questo tipo di trasmissione evita pericolosi slittamenti.

 Di regola, ma non sempre rispettato, il diametro dell’asse e lo spazio occupato dalla molla              scarica dovrebbe essere ciascuno di  1/3 del diametro interno del Bariletto. Uno dei lati di questo   contenitore è ovviamente apribile, tramite un Coperchio a scatto, per consentire tutte le operazioni di manutenzione (lubrificazione e sostituzione).

Nella parete interna di questo contenitore è presente una sagomatura apposita per agganciare l’ ultima spira della molla tramite un sistema chiamato Brida, tale aggancio si è rivelato di fondamentale importanza, difatti nel corso degli anni sono stati costruiti ed applicati moliti tipi di Bride differenti, tutte comunque con il fine di sfruttare al massimo le caratteristiche di spinta della molla. Il problema risiede nel fatto che la molla agganciata nei due punti sopra citati non si sviluppa in modo concentrico ma le spire si producono tutte nella stessa parte con riduzione del rendimento di carica ed una forte usura dei Nocciolo e del Bariletto. Oggi le tipologie di bride prodotte garantiscono una  buona centratura. 

Un altro fattore da tener presente è la forma data alla molla, fino agli anni “50” si costruivano lamine con disegno a spirale, poi definitivamente abbandonato per quello così detto a forma rovesciata o più semplicemente ad “S”.

La molla è in definitiva un nastro di acciaio che arrotolato su di un asse cerca di riprendere la sua forma primitiva, durante questa fase cede energia divenendo la forza motrice dell’ orologio.

Durante il suo collocamento nel Bariletto avviene già una considerevole deformazione e dopo pochi armamenti e disarmamenti la sua forma originaria è modificata in maniera irreversibile. Il fenomeno si deve attribuire al fatto che la molla lavora oltre il suo limite elastico, il quale si avvicina molto al punto critico del carico di rottura. La forma ad “S” precedentemente citata serve propriamente a contrastare i cambiamenti strutturali della lamina. Con il tempo  si giunge ad una “deformazione permanente” che non produce più gli impulsi necessari ad ottenere la corretta ampiezza nelle oscillazione del bilanciere. Il raggiungimento di questo stato viene definito in gergo tra orologiai come “molla arresa”.

Tecnicamente però la causa non è da ricercarsi nella perdita delle proprietà elastiche il cui coefficiente non varia (modulo di Young) ma bensì nella modifica dell’ angolo di arrotolamento impresso alla molla dalla deformazione che subisce.

La qualità ed i valori dati alla molla assumono  quindi un fattore determinante per il preciso funzionamento dell’ orologio, anche lo scappamento più sofisticato privo della regolare e costante energia non potrà rendere al meglio.

Le misure fondamentali, riportate in apposite tabelle, sono :

Il diametro del molla arrotolata(leggermente inferiore a quello del bariletto) , l’ altezza, lo spessore e la lunghezza totale.

 Attualmente per la costruzione le leghe ferrose non sono più in uso si adoperano in genere leghe a base di Cobalto, Nickel e Cromo.

La lamina deve avere sezione quadrata con i bordi leggermente smussati, per favorire lo scorrimento nel bariletto, mentre i fianchi vengono finemente lucidati a specchio garantendo così il massimo scivolamento delle spire.

Ogni calibro viene alimentato con una molla opportunamente progettata.

La rottura della lamina è un evento del tutto imprevedibile, possono capitare orologi degli anni “50”con la molla esausta ma ancora integra ed a suo modo funzionante, oppure orologi nuovi che dopo un mese o due si ritrovano con la molla rotta. In questo fenomeno sicuramente la temperatura gioca un ruolo importantissimo, gli sbalzi termici di fatto sono la principale fonte di fratture.

Da quanto sopra riportato si evince quindi l’ importanza fondamentale che il tecnico riparatore deve assumere nei confronti della molla di carica, controllandola sempre e sostituendola ogni qualvolta si riterrà opportuno,  garantendo così l’ottimo funzionamento dell’ orologio.

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